NATUROGRAFIE: UN DIALOGO POSSIBILE TRA ARTE E SCIENZA

di Fabrizio Bernardi Aubry, Stefania Finotto, Irene Guarneri, Marco Sigovini, Davide Tagliapietra

La vita permea ogni ambiente. Nei mari e nelle lagune la incontriamo libera nell’acqua – e prende il nome di necton o di plancton (rispettivamente gli organismi in grado di contrastare le correnti e quelli che vi si lasciano trasportare) – così come nei fondali e su qualsiasi struttura sommersa – e prende il nome di benthos. È quest’ultimo gruppo il protagonista del presente dialogo tra arte e natura indagato dal progetto ăquae naturografie dell’artista contemporaneo Roberto Ghezzi curato da START cultura e dalla galleria Econtemporary.

 

Gli organismi bentonici popolano i substrati coerenti o incoerenti a tutte le profondità: dalla fascia più alta del litorale, sommersa solo temporaneamente secondo il ritmo della marea o la forza delle onde, ai più profondi abissi oceanici. Nel caso di substrati artificiali, quali gli scafi o le strutture portuali, dove la presenza di incrostazioni biologiche è un fenomeno indesiderato, generalmente il termine usato è fouling, parola inglese che indica lo “sporco”. La biodiversità del benthos abbraccia un ampio spettro di organismi, dai batteri fino ai cordati (gruppo tassonomico a cui anche noi apparteniamo), passando per alghe, piante, spugne, coralli, anellidi, crostacei, molluschi e numerosi altri gruppi. Molte specie, sia vegetali che animali, sono “cementate” al substrato, altre vi sono ancorate più o meno saldamente, altre ancora si muovono liberamente, nuotando o marciando. Il ciclo vitale di questi organismi spesso prevede larve planctoniche o altre forme riproduttive che hanno il compito di propagare la specie attraverso le correnti. Le larve sciamano innumerevoli: la maggior parte diverrà cibo per altri esseri, una minima parte raggiungerà lo stato adulto, insediandosi anche ad ampia distanza dai genitori. Pochi decimetri quadrati di superficie potranno popolarsi di decine di specie, anche considerando solo quelle che possiamo distinguere ad occhio nudo, il cosiddetto “macrobenthos”, convenzionalmente superiore al mm. Le specie formano comunità caratterizzate da dinamiche complesse, dipendenti sia dalle interazioni reciproche, quali predazione e competizione, che dal rapporto con l’ambiente circostante. L’habitat da loro scelto ne risulta a sua volta profondamente trasformato.

 

Abbiamo tutti presente le incrostazioni che ricoprono gli scafi delle barche e le nostre briccole, così come quelle sugli oggetti spiaggiati, che siano bottiglie o galleggianti da pesca. Alcuni di essi ci sembrano vere e proprie opere d’arte. Prendiamo, per esempio, un pannello di tela, ed immergiamolo in una zona della laguna. In pochissimi giorni potremmo già osservare la comparsa di sottili patine e pellicole, primi segnali di vita prodotti da invisibili organismi pionieri: i biofilm microbici ed i feltri prodotti da alghe microscopiche. Col passare dei giorni e dei mesi anche organismi macroscopici attecchiscono, crescono e si succedono. Inizialmente si tratta di poche specie opportuniste e tolleranti in grandi abbondanze, a cui solitamente si sostituiscono comunità più equilibrate, caratterizzate da maggiore biodiversità, complessità e stabilità. In certi habitat questa tendenza può essere però contrastata da perturbazioni o stress di carattere naturale, come ad esempio cambiamenti repentini di salinità, carenze di ossigeno, infangamento, che favoriscono il mantenimento di stadi immaturi: anche questa, in pratica, una forma di adattamento. L’evoluzione dei popolamenti varia a seconda delle caratteristiche del substrato (composizione, texture, struttura tridimensionale ed orientamento nello spazio) e dell’ambiente in cui è immerso, ed è modulata dai cicli stagionali e dalla variabilità interannuale. Nelle lagune i fattori ambientali in gioco sono numerosi e spesso caratterizzati da cambiamenti intensi e repentini nello spazio e nel tempo. I più importanti sono temperatura, salinità, ossigenazione, ricambio idrico, luce, nutrienti, tessitura dei sedimenti, contenuto in sostanza organica e tempi di esposizione all’aria. A questi fattori si aggiungono, spesso confondendosi, le diverse forme di inquinamento e le modifiche dell’ambiente fisico e biologico ad opera dell’uomo, sintetizzate nel termine “impatto antropico”. Infine, il destino di una comunità può anche essere determinato dal suo stato di partenza, in particolare dalla specie che si insedia per prima e che condiziona l’insediamento e lo sviluppo delle altre.

 

Eppure, malgrado i fattori coinvolti siano tanti e intricati, si può cercare di volgere lo sguardo a ritroso, per poter ricavare dall’osservazione la componente vivente dell’ecosistema informazioni non ricavabili altrimenti, di natura complessa e spesso difficilmente definibili quale, ad esempio, la qualità ambientale. Questo approccio prende il nome di “bioindicazione”.

 

Qualsiasi sia lo scopo dell’indagine, osservare attentamente e descrivere col nome corretto ciò che si è osservato è il primo passo. Per far questo occorrono gli strumenti adatti. I microscopi sono fondamentali per poter verificare i caratteri morfologici propri di ogni gruppo di organismi ed attribuire così un nome alle specie presenti, ricostruendo da lì la storia del sistema osservato. A seconda della tecnologia impiegata, si può raggiungere un diverso grado di dettaglio: se i microscopi ottici permettono di ingrandire ogni particolare anatomico di organismi visibili ad occhio nudo, altri strumenti sempre più potenti, quali il microscopio a scansione elettronica, ci aprono un nuovo mondo, un tempo celato alla vista dell’essere umano.

 

Partiamo ora con uno sguardo di insieme ad una delle tele esposte nella mostra ăquae naturografie, rimasta per alcuni mesi immersa nella laguna, in modo che la natura, coi suoi ritmi, ci dipingesse sopra la propria storia. Si osserverà facilmente una sequenza di fasce orizzontali più o meno numerose, alcune più strette ed altre più ampie, ciascuna caratterizzata da un pattern relativamente omogeneo. È possibile così identificare una zonazione verticale, pur ristretta in pochi decimetri di estensione. Ad uno sguardo più ravvicinato, il pattern di ciascuna fascia emerge come il prodotto di una specifica colonizzazione biologica, sommata ad eventuali effetti degli agenti chimici e fisici. Le specie insediate presentano dimensioni, forme e funzioni estremamente diverse. Ciò che si osserva sono organismi macroscopici vegetali ed animali, in particolare la copertura di specie sessili, ossia ancorate alla tela, insieme a tracce e vestigia di vario tipo lasciate da altri organismi sia macroscopici che microscopici: biofilm e biocostruzioni, processi erosivi e degradativi. Come a riprodurre una sequenza di ambienti terrestri, passiamo da condizioni comparabili ad una steppa arida ad altre di folta copertura, un bosco in miniatura composto però sia da vegetali che da animali, in cui convivono organismi capaci di fotosintesi (produttori primari), specie che se ne nutrono dedicandosi al pascolo, detritivori consumatori di organismi morti, filtratori che raccolgono il loro cibo dall’acqua e infine predatori più o meno feroci.

 

La prima storia che ci viene qui raccontata è quella dell’incessante viavai delle maree e delle onde sul litorale. La zonazione osservata riflette infatti le alterne condizioni di emersione ed immersione, in termini di durata e frequenza. L’esposizione all’ambiente emerso, con conseguente disidratazione e impossibilità per gli animali acquatici a respirare, è una condizione fortemente stressante e determina una pressione selettiva sugli organismi, favorendo adattamenti morfologici e fisiologici molto stringenti ed una sequenza verticale di comunità biologiche diverse nell’arco di qualche spanna. Al limite superiore, ad indicare il livello medio delle alte maree, è presente unicamente una cintura scura costituita da un film di alghe azzurre (cianobatteri), detta “comun marin” ed usata un tempo a Venezia come linea di riferimento per costruire la città. Al di sotto di questa, segue una fascia verde di rado feltro algale. In queste prime due fasce sono generalmente presenti rari animali erbivori o filtratori, dalla motilità scarsa o nulla, in grado di isolarsi all’interno della conchiglia o di altre strutture protettive durante i frequenti periodi di emersione. Scendendo verso livelli inferiori della fascia intermareale, fino a spingersi al di sotto del medio mare, le emersione si fanno sempre più rare e brevi, aumenta la biodiversità e compaiono altre tipologie di organismi, presenti anche più in basso, al di sotto della fascia di marea. Tra gli organismi vegetali prevalgono le macroalghe. Per la componente animale, si tratta di specie sessili a comportamento generalmente filtratore: bivalvi quali ostriche e mitili, vermi policheti del gruppo dei serpulidi, spugne, briozoi, ascidie solitarie e coloniali. Altri macroinvertebrati, erbivori, detritivori e predatori, si muovono liberamente in questo spazio: gasteropodi (chioccioline di mare), piccoli crostacei dei gruppi degli anfipodi (pulci di mare) ed isopodi (porcellini), decapodi quali gamberi e granchi. Nel contesto nord Adriatico la marea è quindi un fattore chiave nel governare le forme della laguna e strutturare le comunità biologiche. Naturalmente, l’effetto delle maree si manifesta quando il substrato è vincolato ad una quota assoluta, mentre quando è sospeso ad una struttura galleggiante prevalgono gli effetti delle onde, determinando una zonazione comparabile ma più compressa.

 

La lista delle specie bentoniche rinvenute, in particolare nella zona inferiore, più frequentemente sommersa e quindi più stabile, varia in termini di ricchezza specifica e di composizione a seconda del sito di installazione. Emerge quindi un secondo tema, relativo alle differenze tra la laguna interna, verso la terraferma ed i fiumi, e gli ambiti più prossimi al mare, e più in generale alla varietà degli ambienti lagunari. Quello che potrebbe a prima vista apparire un ambiente omogeneo, è in realtà attraversato da forti variazioni spaziali nelle naturali condizioni chimiche e fisiche, in gran parte lungo una medesima direzione prevalente terra-mare (o acque dolci-acque marine). Tale pattern “composito” si riconosce facilmente in tre variabili chiave, ossia il ricambio idrico e la salinità, che crescono man mano che ci si avvicina al mare, e la concentrazione dei nutrienti nella colonna d’acqua, che invece diminuisce in prossimità del mare. Questa condizione caratteristica delle lagune ha effetti diretti sulla struttura dei popolamenti bentonici: la vita acquatica nelle zone interne della laguna è sottoposta a maggiore pressione e meno specie riescono a sopravvivere. Di conseguenza, la biodiversità diminuisce e cambia il rapporto tra specie sensibili e tolleranti, così come tra i diversi ruoli nella rete trofica. In pratica, l’osservazione della comunità evidenzia condizioni di stress naturale tanto più forti quanto maggiore è la distanza dal mare. Questo fenomeno ha un effetto secondario di grande importanza nell’ambito della bioindicazione: risulta molto difficile distinguere gli effetti negativi prodotti dall’azione umana, quali ad esempio l’inquinamento da carico organico, dagli effetti dello stress naturalmente presente nelle lagune, con conseguente difficoltà nel valutare la qualità ambientale.

 

Una storia ancora che può essere raccontata ci parla dei grandi cambiamenti causati dall’uomo nella distribuzione globale della biodiversità. La lista degli organismi rinvenuti sulle nostre tele comprende infatti alcune specie aliene, più correttamente denominate “alloctone”, la cui distribuzione originale non comprendeva i nostri mari. Tra queste, alcune sono presenti con elevata abbondanza o biomassa, collocandosi talora in ruoli chiave nella rete trofica, determinando potenziali ricadute sulle comunità biologiche e talvolta trasformando profondamente, come veri e propri “ingegneri ecosistemici”, l’habitat stesso. Numerose sono le specie alloctone rinvenute nelle tele oggetto del presente dialogo. Due tra quelle più evidenti sono Amathia verticillata e Tricellaria inopinata, appartenenti entrambe al phylum dei briozoi, un gruppo di organismi coloniali filtratori che sviluppa ammassi importanti filamentosi e ramificati. Queste due specie ben rappresentano i grandi cambiamenti della biodiversità globale: la prima è originaria dell’Atlantico occidentale, la seconda del Pacifico. Entrambe sono ormai stabilizzate in Laguna di Venezia, e tra le specie di briozoi più presenti. L’introduzione delle specie alloctone può seguire modalità e percorsi differenti: talvolta avviene intenzionalmente, come nel caso della vongola filippina (caparozzolo), più spesso è invece accidentale, ad esempio nelle acque di sentina o assieme al fouling che cresce sugli scafi delle navi, oppure come conseguenza dei traffici commerciali legati all’acquacoltura. Il canale di Suez (attualmente in via di ulteriore ampliamento) è un’altra rilevante via di diffusione di specie dalla regione indo-pacifica. I cambiamenti climatici in corso, in particolare l’aumento della temperatura del mare, sembrano inoltre favorire i processi di diffusione di specie alloctone sub-tropicali o tropicali verso le nostre latitudini. Gli ambienti lagunari sono riconosciuti quali rilevanti “punti caldi” (hotspot) di introduzione di specie aliene, e questo vale particolarmente per la Laguna di Venezia, in cui è presente un porto internazionale ed una acquacoltura di rilievo.

 

Per l’ultima storia che racconteremo, faremo uso di una tra le tecnologie di microscopia più avanzate, che va’ sotto il nome di microscopio a scansione elettronica, o SEM. Osservando il mondo microscopico che ha colonizzato il nuovo habitat fornito dall’artista, tra le varie forme spiccano per bellezza e composizione alcuni organismi vegetali formati da una sola cellula, capaci di costruire soffici tappeti su qualsiasi superficie immersa nell’acqua. Si tratta di organismi appartenenti al microfitoplancton o al microfitobenthos, diffusi in tutti gli ambienti acquatici: in aree costiere dove la luce penetra fino al fondo, nelle lagune, paludi, fiumi e laghi e in qualsiasi ambiente in cui sia presente acqua dolce o salata, incluse pozzanghere e fossi. In ambienti poco profondi caratterizzati da acque in movimento come le lagune, il microfitobenthos si può staccare dal proprio substrato liberandosi nell’acqua e viceversa il microfitoplancton fluttuante nell’acqua si può depositare al fondo in assenza di moti turbolenti. Al pari delle piante terrestri, sono organismi fotosintetici. Il gruppo tassonomico maggiormente rappresentato nelle tele è rappresentato dalle diatomee: singole cellule vegetali di dimensioni fino a 10 volte inferiori al diametro di un capello, caratterizzate da un rivestimento esterno vetroso (siliceo) detto frustulo, ornato da sculture caratteristiche che per avvenenza ed eleganza non hanno nulla da invidiare alla migliore arte astratta umana. Tali forme hanno un significato funzionale preciso, permettendo lo scambio di ioni o di luce necessari per la fotosintesi e consentendo il movimento dell’individuo. Le microalghe corrispondono a circa il 95% di tutta la biomassa marina e in un litro d’acqua dei nostri mari, lagune, fiumi e laghi ne possono vivere fino a decine di milioni. Esse costituiscono quello che viene definito come “il primo anello della catena trofica”. Questi minuscoli organismi compongono una vera e propria foresta invisibile globale che produce circa la metà dell’ossigeno che respiriamo e che al contempo sottrae dall’ambiente circa la metà dell’anidride carbonica da noi prodotta, contribuendo così a tenere sotto controllo l’effetto serra e la temperatura del pianeta. In breve, quest’invisibile foresta sommersa ci protegge da noi stessi.

 

Lasciamoci quindi cogliere dal fascino di queste tele che ci sussurrano storie appena accennate di luoghi e di tempi, facciamoci avvolgere dalla loro intrigante bellezza per andare oltre e leggere altre storie avvolte in altre tele del tempo e dello spazio.